La terapia dell’anima,
quando l’inconscio dell’uomo si rispecchia nell’istintività del cane
Un modo di vedere l’interazione tra noi e il cane come una rivalutazione dell’eterna conflittualità tra due dimensione, strettamente intrecciate nella psiche umana, quella della Natura impulsiva e quella della Cultura della Ragione.
L’uso di termini un po’ metafisici come “mistero”, “anima”, “ombra”, “soffio divino”, “inconscio” o “processo di individuazione” non hanno nessun attributo mistico o esoterico, ma sono presi a prestito, in modo più intuitivo possibile, dalla teoria psicoanalitica Junghiana.
da animale istintuale ad animale culturale cosa abbiamo guadagnato e cosa abbiamo perso?
Quando si lega la parola “terapia” con “cane” si pensa immediatamente alla Pet Therapy.
Questa associazione oramai è quasi immediata e rimanda a rapporti emotivi profondi che i nostri amici cani sono capaci di risvegliare.
Altrettanto immediata è l’associazione Pet Therapy - anziani/bambini diversamente abili/, più recentemente, riabilitazione carceraria/ tossicodipendenza/ disturbi della mente e della personalità, ovvero, il cane sembra saper parlare in modo “speciale” a quelle persone che hanno un modo particolare, più “problematico”, di relazionarsi agli altri e con se stessi.
Le doti del cane sono sempre state un bene prezioso per l'uomo
Il cane sembra saper arrivare dove il linguaggio umano viene meno o per lo meno dove esso crea resistenze alla comunicazione.
Spesso si cerca anche di dare a questa capacità del cane una logica, un senso razionale, per cercare di preparare l’operatore cinofilo ad interagire con il proprio partner a quattro zampe in modo finalizzato e produttivo in relazione all’ambito di lavoro in cui si interviene.
Cuccioli e bambini, un binomio d'intesa perfetto
La cinofilia più direttamente interessata all’educazione, sia a scopi civili e sociali che sportivi, ormai usa un linguaggio scientifico che non ha più nulla da invidiare a quello usato nelle scienze comportamentali più avanzate, come la psicologia cognitiva.
Per fortuna che c'è Pamela, un Labrador meraviglioso
Lo scopo, credo, voglia, o almeno dovrebbe voler essere, quello di cercare di capire il mondo del cane, capire i suoi segnali espressivi al fine di riuscire ad interpretare un linguaggio a noi comprensibile e utilizzabile per interagire con lui con sufficiente eloquenza e saper rispondere alle sue necessità, potendo l’uomo fare uno sforzo intellettuale in più al fine di adeguare il proprio comportamento alle esigenze del cane, piuttosto che viceversa.
In questo contesto, però, tende, per sua natura, a sfuggirci un aspetto dell’interazione con il cane che molto probabilmente è anche l’espressione più intima di un legame di tipo più primitivo e che riguarda il mistero della sua natura animale, ancora capace di percepire quel soffio “divino” che l’uomo non riesce più a sentire, se non in situazioni paniche del tutto eccezionali.
Così intento a cercare di dare una spiegazione razionale a tutte le cose, e così occupato all’ordine mentale della propria Persona, alla stregua di una casalinga ossessionata dalla pulizia della propria casa e preoccupata che i propri figli possano entrare in contatto con un batterio, l’uomo non riesce più a lasciarsi andare alla sua natura percettiva, accecato dalla luce abbagliante di tutta la sua conoscenza e della necessità di rispondere alla legge sociale, conquistata con tanta fatica in un lungo e tortuoso processo storico, vinto, ormai, quasi del tutto dalla logica della Scienza e della Ragione, relegando, in questo percorso evolutivo, non pochi scheletri nell’armadio dell’inconscio individuale e collettivo.
A volte la natura ci confonde davvero
foto tratta dalla Rivista "Ti presento il cane" di Valeria Rossi
Ho la sensazione che, come, nell’uomo, la confusione delle due dimensioni della psiche, insieme alla negazione della parte non razionalizzabile, possa portare l’individuo ad una dissociazione patologica della personalità più o meno grave, così, analogamente, anche se non proprio in modo identico, anche nel cane il voler imporre, a tutti i costi, un valore “razionale” e “cognitivo” alla sua mente, prima o poi, ci porterà ad una situazione paradossale, con il rischio di ridurre l’animale meraviglioso che è in lui ad un’immagine speculare, sebbene decisamente molto più rudimentale, della ragione umana, facendo emergere l’ombra che vi si nascondeva, e rischiando di ridurre la sua complessità emotiva ad una banale meccanicità scontata, da usare nel modo più proficuo possibile per i nostri più disparati scopi, più o meno sociali.
A questo punto viene immediatamente da chiedersi perché, poi, questa visione “bio-meccanica” dell’educazione, che considera la cognitività la leva strategica più evoluta da utilizzare nella comunicazione animale, e, che, nel contempo, appare anche assolutamente e scontatamente, per quanto del tutto arbitrariamente, giustificabile sia da un punto di vista etologico che morale, non dovrebbe essere considerata anche come un modello “perfetto” e vederla come la realizzazione dei sogni di ogni Educatore Cinofilo e di tutti i proprietari di cani che così avranno, almeno in apparenza, una vita più facile con il loro cane, ubbidiente e disciplinato?
Un saluti dagli angeli del mare
Anche se mi sembra che, per quanto oggi si sono sostituiti i vecchi, ma forse più immediatamente comprensibili, termini metaforici, quali, macchina, motore e carburante con il linguaggio più sofisticato e alla moda della cibernetica, come PC, hardware e software e al vecchio manuale delle istruzioni si sostituisce il “menù interattivo”, e al di là della maggiore macchinosità del nuovo linguaggio formale, che oggi ha bisogno di un traduttore tecnico-linguistico, poco o nulla sia cambiato nel principio animatore delle strategia di controllo del comportamento.
essere decisi può aiutare
Pure l’ostinato riferimento all’uso esclusivo di sole metodologie non-punitive e “gentili”, demonizzando persino l’uso delle “vecchie” attrezzature quali il guinzaglio e il collare, e sfruttando solamente la leva alimentare come principale motivazione, mi sembra una politica di tipo più clientelare, per altro neppure di grande successo, che non una strategia educativa che dovrebbe portare alla creazione di un rapporto vero con il cane e che dovrebbe avvicinarci di più a lui.
Di fatto non è in discussione tanto il metodo di educazione o l’assunzione della psicologia cognitiva come strategia di comunicazione, bensì il voler conformare, e attribuire al cane dei valori discriminatori tipicamente umani e cercare di dare valori morali al suo comportamento rispetto a tali parametri di confronto.
dolce riposo
Ma che tipo di convivenza andremo a costruire?
Darà vita davvero al rapporto che cercavamo e desideravamo?
Buone feste da un nostro meraviglioso cucciolo di Labrador
Oppure, un po’ alla volta, inconsapevolmente, potremmo arrivare a creare dell’altro?
Magari domani mattina ci alziamo, un po’ depressi, e guardiamo il nostro cane, che, normalmente, ci inietta subito una carica di speciale energia emotiva e di esplosivo entusiasmo, e non vediamo altro che un “fantasma” triste e spento, una caricatura umana, che non sa più restituirci altro che il lato oscuro di noi stessi?
L'evoluzione a volte può tirare dei brutti scherzi
Il cane è un animale straordinario che, per certi versi, ci è molto vicino da un punto di vista etologico, ma che ha anche uno scarto “speciale”, quel “qualcosa” che ci sfugge ma che è comunque presente alla nostra intuizione, come se sapessimo perfettamente di che cosa si tratta, ma, che, allo stesso tempo, non ci appare immediatamente alla coscienza, come se fosse una cosa dimenticata da tempo, ma, che ricordiamo perfettamente essere estremamente importante per noi e per la nostra natura, umana, sì, ma pur sempre, anche, animale.
La gioia della libertà
Nonostante ci sembra di conoscere ormai quasi tutti i comportamenti più elementari e anche un bel po’ di quelli più complessi, del cane, ci sono delle reazioni più oscure che releghiamo alla sfera istintuale che ci appaiano, quasi sempre, del tutto inaspettati, imprevedibili e fuori da ogni logica e il loro decorso espressivo ci sembra del tutto irragionevole e coatto, ovvero dettato da una passione cieca e pericolosa.
Comportamenti che, all’apparenza, non hanno uno sviluppo logico e prevedibile e che ci sembrano apparire senza senso e, soprattutto, senza alcun preavviso.
Comportamenti imprevedibili e improvvisi di ribellione alla nostra autorità e/o manifestazioni di distruttività o di aggressività inaspettata e progressiva tendenza a comportamenti ciechi, che ci appaiono provocatori e intolleranti.
E il nostro bel cuccioletto si trasforma, improvvisamente, in un altro, un essere completamente fuori di sé, una specie di Mister Hyde che ci spaventa davvero.
Questi comportamenti sembrano appartenere ad un individuo dalla doppia personalità dove quella più spaventosa e negativa si risveglia in circostanze che ci appaiono del tutto oscure.
La volte l'irruzione della ragione può essere distruttiva più della natura stessa
Dobbiamo, allora, chiederci cosa succede e superare le solite giustificazioni comportamentali più banali e immediate che attribuiscono questi stati patologici, quasi sempre, ad una scorretta gestione della Leadership legata all’ingenuità o alla mancanza di esperienza del proprietario, con la formulazione di facili ricette di spicciola terapia comportamentale spesso arricchite, nella loro superficialità, da un perbenismo animalista.
Il problema, ci viene spiegato, è educativo, oppure, addirittura dipendente da problemi di privazione sensoriale giovanile, dalla mancanza di un sufficiente imprinting o da carenze sviluppate nella fase di socializzazione, e non ci si preoccupa neppure minimamente di valutare una correlazione possibile con la natura della relazione, e si scarica il problema su circostanze che salvano la faccia di qualcuno a spese di altri, ma, soprattutto, non centrano il bersaglio e ci lasciano di nuovo da soli con il nostro problema di incomprensione e di sconcerto, davanti una Natura tanto ostile e problematica, per cui ci sembra che siamo del tutto incapaci ed impreparati a gestire il rapporto di convivenza con il nostro tanto desiderato “amico” cane.
...un piccolo diavoletto
Non voglio insinuare che il problema della gestione della Leadership, dell’imprinting e della socializzazione non abbiano un peso determinante nella crescita equilibrata del cane, anzi, chi mi conosce, sa perfettamente che è proprio il contrario.
Ma non è tutto così semplice e soprattutto la natura dello sviluppo di questi “periodi sensibili” non è così scontata da potersi ridurre ad alcune banali formule, per quanto ben confezionate, associate ad azioni correlate tra di loro in modo del tutto astratte dalla vita reale, non è un “giochino” intellettuale che basta aver capito nella sua articolazione logica, ma sono momenti di vita reale e cruciali per il cucciolo che stà diventando un cane adulto e non si possono ridurre questi momenti ad una compiaciuta, quanto sterile, terminologia del tutto teorica, trascurando tutta la loro valenza fiscio-emotiva, che è la miscela più esplosiva di questa fase della crescita che non è risolvibile con una banale ricetta universale, ma deve essere calata nella vita reale dove il cane si misura ogni istante con noi e il mondo che lo circonda, ponendosi pochi “perché”, ma agendo d’istinto e in modo estremamente impulsivo, rispondendo ad un richiamo interiore di voglia d’espressione che è perfettamente in sintonia con la sua percezione della realtà che lo circonda e a cui risponde in modo molto schietto e a volte anche estremamente crudo e, soprattutto, senza tante intermediazioni e inutili formalismi.
ma che amore...quasi quasi ti mangio tutto
In verità è una questione legata principalmente alla prepotenza della natura culturale dell’uomo che tende a conformare il cane alla propria immagine di amico, e si lascia, così, sfuggire tutto il sapore squisitamente naturale del cane.
La natura spesso ci appare estranea e pericolosa, e ci fa paura, perché non sappiamo più darle la giusta attenzione e non siamo più capaci di ascoltarla, con i nostri sensi oramai completamente otturati da un ingorgo indissolubile di ragione e “buon senso” comune, spesso adombrato da un moralismo, paradossalmente, al limite della sociopatia.
Il cane ha una mente particolare, e potremmo dire, “originaria”, e di tipo molto primitivo, non nel senso denigratorio del termine, ma, anzi, nel senso più profondo del termine.
Il cane, sa ancora attingere a quella sfera percettiva più profonda della Natura che continuamente sfugge dall’attenzione della coscienza razionale dell’uomo e che si mantiene in una zona d’ombra e più propriamente inconscia della psiche umana.
cane da pagliaio a chi ?
Una mente originaria, quella del cane, molto più vicina a quella di un bambino, fisicamente ancora piccolo e i cui pensieri consci sono scarsi e semplici e legati ancora ad una identità psichica primitiva di tipo più “preistorico”.
Questa “mente originaria” del bambino, come del cane, è, ben presente e funzionante nella stessa misura in cui lo sono gli stadi evoluzionistici del genere umano e canino nel corpo ancora embrionale.
Nella crescita l’essere umano si evolve come tale e si trasforma sulla base della sua evoluzione storico-culturale attraverso la convivenza con i propri simili e in primo grado con i genitori, i fratelli e via, via, con i vari livelli gerarchici che egli è in grado di esperire all’interno dei vari ambiti sociali della propria specie.
Il bambino si fa uomo attraverso un processo di sviluppo, a moviola, in avanti e ad accelerazione progressiva che in breve tempo gli fa rivivere la propria storia evolutiva, percettivo-culturale, fino a diventare un animale culturale per eccellenza.
Fino ad uno certo stadio le strade evolutive del comportamento del cucciolo di cane e di bambino sembrano camminare una a fianco dell’altra ma poi progressivamente si specificano e diversificano in molti aspetti, sia percettivi che intellettuali, pur mantenendo alcune forti analogie.
la socializzazione è una fase determinante per la crescita del cucciolo
Queste analogie comportamentali sono spesso oggetto di confusione e trattate piuttosto come omologie che possono indurre a dei discreti fraintendimenti che la natura umana tende a considerare più errori educativi, che diversità specie-specifiche, dando ad esse valori antropomorfici piuttosto di considerarle differenze etologiche tipiche di una diversità più esistenziale, appunto, di specie.
Infatti molti dei nostri problemi fondamentali di incomprensione tra uomo e cane nascono da questa cecità tipica della ragione umana tendente ad aggiustare tutto quanto incontra di diverso in una prospettiva di controllo unica, omogenea, e a noi “perfettamente” comprensibile, e che elimina, come scarti del reale, ogni cosa che non è razionalmente comprensibile e scientificamente dimostrabile.
Alla fine, però, chi “lavora” con il cane, ovvero interagisce con lui in modo produttivo e finalizzato, lo riesce a fare, davvero bene, solo quando matura un senso “speciale”, più percettivo che razionale, che lascia spazio ad una comunicazione più “complessa”, “totale”, dove viene coinvolta la mente e il corpo insieme e l’azione cancella il dato tecnico e si affida all’esperienza e alla percezione immediata, e, potremmo dire, per non scandalizzare troppo, quasi del tutto “inconscia”, affidata più all’istinto che non all’analisi scientifica.
Una esibizione di Agilità di una spelendida Golden di nome Margot
Una dimensione più “istintiva” della comunicazione che sembra risvegliarsi da un “inconscio” di antica data, ma, molto immediato e inequivocabile, spontaneo e puro, un linguaggio della natura, che solo a posteriori riusciamo a spiegare scientificamente, (se veramente esso si offrisse ad una spiegazione, e il suo successo non rimanga, piuttosto, solamente, un semplice mistero inspiegabile, ma, comunque, vero e reale), una verità che ci viene da dentro, una verità che si ricollega alla nostra capacità di sentire il nostro corpo e tutta la natura che lo circonda.
...e tutto ebbe inizio così
La capacità che il cane ha di risvegliare questa dimensione, spesso, nell’uomo, assopita da millenni di razionalità imperante, è una vera e propria riscoperta di una dimensione della natura che non eravamo più in grado di sentire veramente e che ci manca a tal punto che ogni tanto essa ci appare come un vago ricordo proveniente dal nostro inconscio collettivo e che si rivela più nei nostri stati d’animo che non nella nostra vita reale cosciente, e qualche volta la sua mancanza ci trasforma in esseri tristi e depressi, come dei bambini che hanno perso qualcosa e non si ricordano più di che cosa si trattasse.
Una perdita che dimentica l’oggetto che è venuto meno e che confonde la coscienza con ombre emotive che emergono con sconvolgente forza dirompente.
L’educazione del cane, da parte dell’uomo, orientata ad inserirlo più adeguatamente e felicemente nel nostro complesso mondo sociale, non deve cercare di eliminare questa dimensione primitiva, bensì, dovrebbe cercare di porvi una maggiore attenzione e assaporarne tutta la valenza emotiva cercando di mantenerla in giusto equilibrio con le condizioni del suo inserimento nel nostro ambito sociale lasciando al suo comportamento quella naturalità e genuinità di cui il cane è ancora capace naturalmente.
Una vera forza della natura
Non è nella natura del cane utilizzare una visione razionale della vita ma gli è più consono viverla direttamente attraverso risposte comportamentali più istintive e corrette per natura.
Noi uomini dovremmo invidiargli questa capacità che ormai in noi si è quasi del tutto assopita e dovremmo aiutarlo a poterla esprimere con la giusta enfasi, evitando una repressione morale che non porterebbe nessun giovamento nè al cane nè al suo rapporto con noi.
Questa energia che il cane possiede è meglio possa trovare la giusta strada di espressione se non vogliamo che anch’esso soffra di disordini della personalità e cominci a manifestare disturbi patologici di tipo ossessivo-compulsivo, tipicamente umani, e che si rivolteranno verso di noi e, infine, in casi estremi, anche verso il cane stesso.
e mio
Anche la percezione della dimensione sociale del cane è molto schietta e immediata, con facili risvolti fisico-emotivi, arricchita da intense manifestazioni espressive che da una estrema teatralità possono trasformarsi velocemente in eventi piuttosto cruenti e difficili, per noi, da capire moralmente.
Sottovalutare il comportamento istintivo e primordiale vuol dire nascondere in una zona d’ombra l’anima del cane, ovvero, nascondere l’essenza della sua natura animale, trasformando il soffio divino in un fuoco ardente di tipo diabolico, appunto, dissociativo.
no, e mio!
Il valore morale, dove la ragione umana vuole cercare d’imprigionare l’anima della natura, dissocia la sua essenza psichica dividendo il suo comportamento in buono e cattivo, in giusto e sbagliato attraverso un metro di misura umano tipicamente astratto dalla realtà della natura.
Se per l’uomo il compimento della sua capacità di individualizzazione, la realizzazione dell’individuo, dovrebbe coincidere con la presa di coscienza e l’armonizzazione, nella sua psiche, della dimensione conscia e di quella inconscia, della dimensione pubblica e di quella privata, ovvero, tra coscienza e istintività, per il cane questo passaggio non richiede uno sforzo evolutivo in più ma si presenta già nella sua spontanea naturalezza che l’uomo non dovrebbe avere il diritto di “imbrogliare”, o di “confondere”, ma che, invece, dovrebbe imparare ad assaporare in tutta la sua valenza comunicativa e ontologica.
una affettuosa mamma di golden
Il cane vive in armonia con la sua anima e non vi sono ombre culturali che la oscurano e questa dimensione originaria e primitiva della sua anima è il mistero che tanto ci attira e che allo stesso tempo tanto ci spaventa.
Se non saremo capaci di comprendere questa dimensione e di prestagli la giusta attenzione perderemo una grande possibilità di stabilire un rapporto veramente profondo ed essenziale con il cane e la sua anima, che forse può rappresentare uno dei pochi ponti ancora percorribile per avvicinarci davvero alla Natura e al mistero della sua condivisione con il cane.
una esibizione di volo di Kirk
La razionalità e i modelli comportamentali, anche i più sofisticati e moderni della psicologia cognitiva, possono essere uno strumento formidabile per capire noi stessi e le possibilità che abbiamo per interrogarci su come aiutare il nostro amico cane a vivere meglio con noi, ma, non devono diventare strumenti di dominio, dove finisce che la tortura psicologica diventa la prima conseguenza inevitabile, per trasformare la natura del cane in una macchina strumentale ai nostri bisogni di potere, spesso del tutto nascosti nella normale quotidianità e nei comportamenti di abituale interazione con il nostro cane e, del tutto in buona fede, orientati al intento di offrire al cane la vita migliore possibile, anche se normalmente questa desiderio di benessere è più la nostra rappresentazione di benessere, pensata tipicamente in modo umano e genitoriale, e, normalmente, anche esageratamente idealizzata, piuttosto che non quella del cane.
Un vero amore di cucciolo
Spesso sentiamo parlare di maltrattamenti e ci vengono proposte immagini terribili di crudeli sevizie perpetuate sui poveri cani, ma continua a sfuggirci il lato più oscuro del maltrattamento, quello quotidiano, incessante, oppressivo e alienante, dove si nasconde, ben mimetizzata dall’eccesso di desiderio di dare al cane tutto il nostro amore inespresso, e rimossa, nell’ombra della parte più nascosta della nostra psiche, tutta la sua essenza nichilistica, libera di alimentarsi in modo del tutto inconscia, nascosta, in modo incredibilmente ben mascherata, dalla ragione del moralismo e del perbenismo di tutti i giorni, che appare, nella sua verità, solamente ad un indagine più approfondita e avveduta; un perbenismo che vede, di riflesso, e in forma del tutto rimossa, il cane come un “essere” inferiore all’uomo, e da dover, assolutamente e a tutti i costi, salvare dalla propria animalità, elevando il suo essere alla dignitosità di quello umano.
Molta gente tende a riversare, in modo esagerato, più amore verso il proprio cane di quanto non farebbe con i propri figli e/o con i propri consimili, sino ad arrivare a soffocare, alla stregua dell’eccesso patologico, la stessa dignità del cane.
di chi sarà mai questo succolento boccone finale ?
Ricordiamoci che il cane non vuole essere salvato da noi, ma, semmai, potrebbe avvenire l’opposto, se saremo capaci di affinare la nostra attenzione per vedere in profondità ciò che sfugge allo sguardo superficiale del comune senso morale della scontata quotidianità sociale, intrisa di uno sfrenato antropocentrismo collettivo.
Il nostro Labrador Tango in una performace di richiamo libero
La tendenza della razionalità è quella di eliminare il divenire e l’imprevedibile per tendere alla stabilità e alla sicurezza; ma la forza della natura è proprio la pulsione del divenire e della variabilità, e aggredire questa dinamica non distruggerà la sua essenza ma solamente porterà all’oblio di quella parte della sua complessità che sfugge all’immediata comprensibilità, destinandola in una dimensione inconscia, ma comunque pur sempre presente nella totalità psichica dell’individuo.
Nessuno dentro di sé cerca nel cane solo un amico “umano”, sarebbe un desiderio, oltre che strano, credo, anche, abbastanza patologico.
Noi cerchiamo nel cane quel qualcosa che ci unisce oltre la banale utilità.
come possiamo resistergli?
Noi cerchiamo una utilità più ontologica, più vera ed essenziale, nel cane.
L’utilità più grande, che il cane può apportare all’uomo è quella di aprire una breccia nel suo Ego per lasciar passare uno spiraglio di luce da cui, l’uomo, possa riuscire a intravvedere e riconoscere anche la propria, di anima, e da dove possa rinascere la speranza di poter ricongiungersi anch’esso con la propria natura, in un processo di vera e propria individualizzazione di Sè.
Il cane può diventare per l’uomo una speciale terapia dell’anima.
Amore a prima vista
Il cane può diventare capace di spalancare, all’uomo, la visione di una dimensione che appartiene intimamente a lui, come al cane, e che è quella forza che unisce tutte le cose in una energia indomabile, al di là della loro razionalità e dal punto di vista che le si guardi.
Affascinare è il mio mestiere
Quando affermiamo che il cane ha delle capacità cognitive, e possiede una mente come la nostra, non stiamo affatto attribuendo al cane delle facoltà che lo qualifichino in modo migliore o che migliorino la sua posizione nella scala zoologica, avvicinandolo di più al gradino più alto, che, guarda caso, si attribuisce, per eccellenza, alla nostra specie, ma, bensì, facciamo un’attribuzione tipicamente antropocentrica, anche se vestita per bene in funzione della festa domenicale nella chiesa dell’uomo.
Probabilmente esiste un conflitto di interessi
Ciò non vuol dire che l’uso di concetti e metodiche tratte dalla psicologia cognitiva non funzionino da un punto di vista conoscitivo e/o che la nostra capacità di addestrare il cane sia peggiorata e/o che tale evoluzione, nella scienza delle comunicazioni, non abbia creato dei notevoli progressi nella nostra capacità di interpretare il comportamento del cane in funzione di una finalizzazione operativa, anzi, ritengo che il linguaggio che si è creato possa essere molto utile all’Educatore Cinofilo per comunicare il suo metodo operativo e spiegarne il senso logico e i campi d’applicazione.
Ma una cosa è creare un apparato strumentale, più o meno scientifico, che possa aiutare l’uomo nel rapporto con il cane, un’altra cosa è attribuire al cane delle capacità che crediamo ci permettono di manipolarlo con facilità e successo attribuendo al metodo una valenza naturale, deontologicamente corretta e moralmente libera da critiche sociali.
un sincronismo perfetto dove il guinzaglio non è altro che un legame invisibile
Di fatto attribuire capacità cognitive al cane o riscoprire in lui una mente capace di ragionamenti più complessi e legati ad emozioni e sentimenti di varia entità e genere non mi sembra poi una grande scoperta, almeno a me personalmente questa dimensione mi era apparsa già scontata fin dal mio primo incontro con il cane, e mi pare pure sia un sentimento condiviso dalla stragrande maggioranza di proprietari di cani, ma ciò non vuol dire che il cane faccia uso di queste capacità allo stesso modo nostro.
Maroka nella gioia di riportare un pallina
Fare un paragone tra le capacità cognitive dell’uomo e quelle del cane è semplicemente privo di senso e ridicolo da un punto di vista ontologico, tutt’al più può essere un’ipotesi da considerare al momento che dobbiamo trovare delle strategie a noi comprensibili e moralmente giustificabili che possano essere utilizzate con successo nell’ interpretazione e controllo, da parte nostra, del suo comportamento.
La cognitività è per noi uno strumento formidabile che rappresenta anche un’arma incredibile per la conquista del nostro primato di controllo sul reale ma non è un principio universale e riguarda, più specificatamente, l’uomo e la sua capacità di relazionarsi con il proprio mondo, ma non appartiene, necessariamente, alla natura nella sua interezza e complessità.
E temo, per il probabile dispiacere di molti Educatori, non appartenga neppure al cane, ma solamente a noi e alle nostre capacità singolari di interpretare in questo modo il mondo del cane tagliando fuori, nel contempo, però, anche una bella parte della sua natura essenziale e di questo dobbiamo essere coscienti se non volgiamo che la realtà ci riservi delle sgradevoli sorprese.
La tipica dissociazione tra ragione e percezione, tra conscio ed inconscio, tra natura e rappresentazione, tra realtà e finzione che nasce con il fenomeno culturale, nell’uomo, nel cane non esiste, ed il suo rapporto con la natura è estremamente, appunto, primordiale, e non in senso negativo, ma, all’opposto, inteso nella sua accezione più genuina e squisitamente qualificativa.
Il calore di un abraccio viene dal profondo dell'anima
Voler cercare nel cane ciò che di più analogo all’umano c’è in lui è una sciocchezza che può solo devastare la bellezza della sua natura che tanto ci attrae.
E’ normale non riuscire a vedere nel cane ciò che non siamo più capaci di vedere neppure in noi stessi e quindi trovarci, nel cane, davanti ai stessi problemi che l’uomo deve affrontare nel suo odierno mondo metropolitano, ovvero, disadattamento sociale, disturbi della personalità e depressione, e che possono essere espressi in modo più o meno acuto, e con maggiore evidenza patologica, anche in relazione alle caratteristiche di razza.
Credo che a nessuno interessi avere uno schiavo, nel proprio cane, perché sono sicuro che sarebbe un cattivo schiavo e neppure credo che a qualcuno interessino più di tanto le sue facoltà intellettuali, perché, nel concreto resterebbe molto deluso anche in questo senso.
Mi sento un pò depresso perchè non mi ricordo più cosa volevo
Quindi ci sarà qualcosa che in lui ci attira tanto da essersi conquistato il ruolo che oggi il cane di fatto ha nella vita dell’uomo.
Credo che il suo fascino sia più legato alla sua dimensione animale, alla sua natura istintiva, ma, comunque, capace di relazionarsi con noi, socialmente, sebbene tutto a modo suo.
Cercare di renderlo più umano potrebbe coglierci di sorpresa nel scoprire che in ciò non c’è nulla da guadagnare, ma, che, al contrario, stiamo spegnendo proprio quel fuoco che tanto ci piace veder ardere nei suoi occhi.
Il cane ci fa assaporare un senso di libertà e di purezza communicativa di straordinaria enfasi
Dobbiamo imparare a porre più attenzioni alla sue qualità più essenziali, quelle legate alla sua vera natura e potremmo scoprire che il cane ci potrebbe aprire una visione del mondo più ampia e ricca di sensazioni piene di quel speciale mistero che la Natura nasconde, oltre il suo apparire alla sola illuminazione della ragione, e, se ci sforziamo di estendere questa esperienza anche a noi stessi, potremmo riscoprire un lato dimenticato di noi che non sapevamo neppure ci mancasse tanto.
Ma soprattutto potremmo scoprire, più semplicemente, che il cane può diventare quel qualcosa in più che ci accompagna nella nostra vita con una tale intensità emotiva che non ha eguali e che egli può diventare un amico che sa ascoltare e che sa anche parlarci, ancora, con una lingua che condividiamo nel profondo della nostra comune natura, e che ci fa crescere non solo socialmente e moralmente ma anche come individui in continua ricerca di noi stessi e dei valori della nostra vita.
...ma quanto ti voglio bene